Robbie Williams - Rudebox (2006)
Dall'ascolto di "Rudebox", la prima impressione e' che Robbie Williams sia ad un punto della sua carriera dove puo' permettersi di fare la musica che preferisce senza condizionamenti di sorta. In passato, nonostante la sua carriera solista abbia registrato una collezione di hits multimilionarie (tranne che negli Usa dove la sua stella non e' mai riuscita a brillare come nel resto del mondo), la musica non e' mai stata al centro dell'attenzione dei media, piu' concentrati a sottolineare le vicissitudini personali del cantante, dipinto come una sorta di schizofrenico dipendente, a seconda del periodo, da psicofarmaci droghe e alcool.
Gli ultimi due album erano stati inutilmente confezionati per conquistare le classifiche Usa, mentre questa ultima uscita sembra rendere piu' giustizia alla personalità eclettica del cantante inglese. La title-track e' una cover stravolta elettronicamente con tanto di beep stile Gameboy di un brano di Sly and Robbie. Maledettamente strana e intrigante. Continuando nell'ascolto, troviamo il country rivisitato di "Viva Life On Mars", il synt-pop semi-demenziale di "The Actor", il rap funk di "Good Doctor", con Robbie perfettamente a suo agio nel ruolo di intrattenitore nato, un po' clown e un po' popstar.
"We're The Pet Shop Boys" bizzarro tributo kitsch agli anni '80, e' una cover di "my Robot Friend", e vede le partecipazione dei Pet Shop Boys alle voci. "Lovelight", brillantemente prodotta da Mark Ronson e' una ballata cibernetica che ricorda il miglior Prince. Ma quello che innalza "Rudebox" dall'essere solo un divertente e delirante pop album sono due pezzi notevoli come "The 80's" e "The 90's". La prima riporta agli anni dell'adolescenza di Robbie, trascorsa a sbevazzare e tampinare le ragazze al parco; la seconda che dipinge il ragazzo perso dentro il successo che lo fa sentire "running away from everything that I've ever been...pissed and fucked and only 19".
Punti deboli della tracklist: "Bongo Bong and Je Ne T'Aime Plus", che neanche la presenza di Lily Allen riesce a rendere credibile, "Summertime" e la ghost track "Dickhead", un rap sconclusionato e caciarone.
Nonostante questo, "Rudebox" rimane un album sorprendente e coraggioso, che trasuda un senso di perverso senso del divertimento difficile da trovare nel pop da classifica.
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